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I DIARI DELLA MOTOCICLETTA
(DIARIOS DE MOTOCICLETA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 7 giugno 2004
 
di Walter Salles, con Gael Garcia Benal, Rodrigo de la Serna (Stati Uniti - Brasile, 2004)
 
Già si viaggiava verso chi ancora è più derelitto, in quel CENTRAL DO BRASIL di grande, magari un po' eccessivo successo internazionale che valse al brasiliano Walter Salles oro a Berlino e rincorse all'Oscar. Il viaggio come stordimento fisico e sorpresa morale, come apprendimento di quanto un orizzonte inedito può apportare alla tua maturazione venendoti incontro. E sempre di viaggio, e che viaggio, si tratta in I DIARI DELLA MOTOCICLETTA. Non tanto perché di ottomila chilometri in quattro mesi, tutti da compiere su una Norton sgangherata dall'Argentina al Cile, Perù, Venezuela; ma perché questo itinerario iniziatico è quello che attende due amici di Buenos Aires del 1952, il biochimico Alberto Granado e il laureando in medicina Ernesto Guevara. Che lo racconterà nei diari ormai mitici del Che, ai quali il film s'ispira.

Il progetto del regista brasiliano e di Robert Redford che ne è il produttore è di una evidenza semplice che serve il film: dipingere i due giovani per ciò che sono, e non per coloro che diverranno. Come racconta Alberto Granado, " Guevara e io ne sapevamo, prima d'iniziare quel viaggio, più sui Greci ed i Romani che sulle popolazioni che formano l'America latina. Le classi agiate brasiliane o argentine hanno sempre voluto imitare l'Europa, rifiutandosi di guardare al proprio continente, alla propria immagine Ed è cosi tuttora".

Scoperta di un continente, e presa di coscienza politica e sociale. " I problemi strutturali di allora rimangono i medesimi", dice Salles, "gli effetti del neocolonialismo, del populismo degli anni 50 e delle dittature militari dei 70 si sono aggiunte all'assenza di un modello di sviluppo autonomo nel corso degli anni 90". La prima parte del film mostrerà allora la spensierata scorribanda dei due giovani, fra tragicomiche sbandate sulle strade sempre più disastrate e i corteggiamenti alle più o meni accondiscendenti signorine locali. Nella seconda, (qualcuno ha scritto solo perchè il bel Gael Garcia Bernal apprende che la fidanzata l'ha piantato) alla presa di coscienza che condurrà Il Che a ciò che sappiamo: fra i paesaggi maestosi delle Ande, nei deserti fin nelle foreste dell'Amazzonia, l'incontro con la miseria e la sopraffazione, i lebbrosi ed i disoccupati, i comunisti e i minatori sfruttati.

Lo sguardo di Walter Salles è onesto e generoso, ma non è di quelli che legano, al di là dell'encomiabile illustrazione da cartolina ricordo, i significati degli ambienti all'intimità più misteriosa dei suoi personaggi. In progressione, la regia si fa più improvvisata, inserendosi in modo quasi documentaristico in una realtà contemporanea sempre meno romanzata: ne acquista in autenticità, se non proprio in continuità.


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